Il presente lavoro vuole essere un
contributo allo studio del procedimento in cui una parte rimane inattiva. L’analisi muove dall’individuazione dei
princìpi direttivi che regolano la dinamica del procedimento contumaciale nel
codice di rito, ispirato alla ficta litiscontestatio, per valutare, nel suo
sviluppo, se essi conservino, o meno, valore anche in relazione ai riti
orientati all’opposto criterio della ficta confessio, volgendo lo sguardo anche
alla disciplina del processo francese e tedesco, che hanno ispirato il
legislatore italiano. Altro tema d’indagine è quello dei poteri
del contumace, per stabilire se un soggetto, che non partecipa al giudizio,
possa compiere atti processuali e se costui sia in grado, o meno, di influire
sulla decisione finale. Il proposito è quello di cogliere il
significato che la contumacia assume nell’ordinamento, per delineare una nuova
concezione della contumacia volontaria, intesa non già come inattività, ovvero
come comportamento neutro, nei sensi delineati dalla migliore dottrina, bensì
come una forma di esercizio del diritto di difesa della parte, alternativa alla
costituzione in giudizio, e che, in determinate situazioni, si dimostra
maggiormente efficace rispetto alla partecipazione attiva nel processo. Nella parte conclusiva dell’indagine, in
una prospettiva di riforma del processo, volta a superare le disarmonie del
sistema, si offre un nuovo approccio ricostruttivo dell’istituto della
contumacia, da risolversi non più, e come sin qui accaduto, in termini di
fictia contestatio e confessio, ma attraverso una rilettura delle nozioni di
interesse ad agire ed interesse a contraddire, di cui all’art. 100 c.p.c.
|