I
planimetri non sono oggetti rari. Tra il 1850 e il 1950, per circa un secolo,
furono fabbricati in grande numero, in Svizzera, in Inghilterra, in Germania,
negli Stati Uniti, e anche in Italia, da Salmoiraghi. La
ragione di questa fortuna apparirà evidente a chi vorrà leggere le pagine che
seguono: esso era l’unico strumento che permettesse di misurare con precisione
sulla carta la superficie di una figura non scomponibile in poligoni regolari.
Poiché queste figure si incontravano con grande frequenza, nel campo dell’ingegneria,
della topografia, della matematica applicata, l’uso del planimetro fu per molti
anni comunissimo.Si può anzi dire che il planimetro e i compassi in una borsa, il
regolo calcolatore nel taschino, furono per circa un secolo i compagni indivisibili,
quasi un simbolo, di ingegneri e tecnici. L’avvento
delle macchine da calcolo e del computer ha segnato la fine di questi oggetti.
Ma in grado diverso. Mentre il regolo calcolatore è ormai ad ogni titolo un
cimelio, che nessuno sa più adoperare, ricercato solo da collezionisti e nostalgici,
mentre il compasso vive una vita grama, usato solo nelle scuole e dagli
ingegneri quando non hanno il tempo per avviare i programmi di CAD, il
planimetro ha ancora una ragione d’essere. Se infatti si disegna direttamente
una figura al computer, con uno dei tanti programmi disponibili, la superficie della
figura è automaticamente calcolata dallo stesso computer, con tutta la
precisione desiderabile. Ma se la figura è stata disegnata in precedenza su un
foglio di carta (una mappa geografica, una vecchia planimetria, un foglio
catastale), scannerizzare il disegno e trasferirlo su un programma è una cosa
complicata, o impossibile. Per questo i planimetri sono ancora utili, spesso
insostituibili. Per questo alcune ditte, in Europa e negli Stati Uniti, continuano
a fabbricarli e a venderli, in versione meccanica tradizionale e da qualche
anno anche in versione digitale. Vecchi
planimetri si trovano poi con grande facilità alle fiere, alle aste, nei
mercatini, per prezzi più che accessibili, almeno nei tipi più comuni. Capita
quindi che l’amatore di curiosità tecnologiche li acquisti: ma non sapendo bene
a cosa servono e come funzionano finisce per classificarli tra gli “oggetti
misteriosi”. Ci è persino capitato di vedere planimetri
esposti in musei con didascalie a dir poco fantasiose, oppure assolutamente
vaghe. Sui
planimetri esiste una bibliografia immensa, tutta formatasi negli anni in cui
esso era uno strumento di uso comune. Questi testi ne descrivono l’aspetto
fisico e il funzionamento, riservando grande attenzione alle teorie matematiche
che li giustificano. Ben poco è stato tuttavia scritto dal 1950 in poi, e soprattutto
ben poco esiste sulla loro storia. Il nostro libro intende essere un primo
tentativo di colmare questa lacuna. Esso non è destinato ai matematici (anche
se qualche formula matematica qua e là si trova), ma ai collezionisti, ai
curatori di musei, agli storici della scienza. Senza esaurire l’argomento (che
è immenso: solo un catalogo dei planimetri conosciuti occuperebbe un volume
grande almeno quattro volte il nostro), esso vuole trattarlo, per così dire, a
volo d’uccello. Esamineremo perciò la storia del planimetro e le principali
tipologie costruttive di questo strumento, cercando soprattutto di mettere in
rilievo gli sforzi fatti da generazioni di matematici, progettisti,
costruttori, per renderlo sempre più preciso e affidabile. Questi
sforzi possono oggi parere vani. Ma non è così, perché siamo nani sulle spalle
di giganti, e il nostro beneamato computer non esisterebbe senza il lavoro
degli scienziati e dei tecnici che lo hanno preceduto. Da questo punto di vista
le nostre pagine intendono anche essere un omaggio all’impegno e all’ingegno di
questi uomini, oggi dimenticati.
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