Per decenni la
società aveva speso le migliori energie per produrre ricchezza sfruttando le
innovazioni tecnologiche utili a migliorare la vita: la corrente elettrica per
illuminare la città, l’ammodernamento delle case, la velocizzazione dei
trasporti, la comunicazione a distanza. La guerra sconvolse un sistema che
aveva goduto di una “pacifica” Belle Époque. Lo sviluppo tecnologico fatto di
mezzi blindati, aviazione, chimica applicata, nidi di mitragliatrici, fuoco di
sbarramento rappresentò una cesura drastica e drammaticamente efficiente
rispetto ai conflitti bellici precedenti. Negli anni del conflitto, dal 1914 al
1918, morirono in tutto il mondo dieci milioni di soldati e sette milioni di
civili. Il conflitto assorbì tutto e tutti. Trasformò contadini e operai in
soldati; separò le famiglie, moltiplicò a dismisura i compiti delle donne,
ridimensionò i consumi alimentari, intristì i bambini con giornalini e letture
scolastiche che parlavano sempre di guerra. Anche a Bergamo. La Grande Guerra dei
bergamaschi non è stata ancora tutta scritta, né raccontata. Non sono
sufficienti le lapidi, i monumenti, le lunghe liste di nomi dei caduti, come
quelli che troviamo nella nostra città o in tutta la provincia, a trattenere
una memoria sfocata. Nascoste tra le pareti domestiche rimangono innumerevoli
tracce di quella “gente comune” che ha vissuto in prima persona gli anni della
guerra. “…Vi prego tutte le fotografie ch’io vi mando tenermele ben riservate
per memoria…” scriveva nel 1916 dal fronte un soldato di Casirate al padre. Le
sue fotografie sono conservate ancora oggi da suo figlio, da suo nipote. Le
foto, le testimonianze private, i diari, gli epistolari, tutti materiali
inediti venuti alla luce perché non si può dimenticare, diventano protagonisti
di questa narrazione, ci consegnano la ricostruzione di una guerra e di
un’epoca da cui ci sentiamo lontani e che nessuno saprà più raccontare. La
memoria privata che riemerge si trasforma in memoria sociale. Ai protagonisti
più dimenticati viene restituita la storia, non solo per un’istanza morale, ma
anche perché ciò che ci hanno lasciato aiuterà a comprendere la profonda
trasformazione culturale che la Grande Guerra ha indotto nella nostra società.
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