La grammatica bergamasca

Collana: Ricerca e Storia

€ 15.00

INDICE
La lingua Bergamasca » 13
Elementi di fonetica » 17
Morfologia » 29
Le parti del discorso » 29
Il nome » 30
L’articolo » 42
L’aggettivo » 47
Il pronome » 59
Il verbo » 68
L’avverbio » 106
La preposizione » 115
La congiunzione » 117
L’interiezione » 120
Elementi di sintassi » 123
Cenni di etimologia » 143


Titolo: La grammatica bergamasca


Autore: Umberto Zanetti


Anno: 2004


ISBN: 88-87445-59-1


Pagine:


Collana: Ricerca e Storia


DESCRIZIONE

INTRODUZIONE
Questo lavoro ha carattere essenzialmente descrittivo e segue perciò un criterio di ordine sistematico; solo occasionalmente esso prospetta rapidi cenni attinenti ai problemi storici della vicenda linguistica bergamasca e prescinde totalmente dagli aspetti di natura geografica, occupandosi essenzialmente della parlata invalsa nel territorio della città di Bergamo.
Nell’esposizione della materia e nella definizione delle norme è stato giocoforza attenersi agli usuali schemi dei manuali di grammatica italiana, nell’intento di agevolare l’accostamento e la comprensione degli argomenti trattati anche ai lettori che avessero poca o punta confidenza con la parlata bergamasca. A tale scopo si è abbondato nell’esemplificazione dei fenomeni e delle regole esposte, inserendo in corsivo nel testo numerose ed appropriate locuzioni bergamasche, seguite dalla traduzione italiana (tranne che nei casi più evidenti e intuitivi).
Non sempre però è stato possibile attenersi puntualmente ai consolidati schemi espositivi della tradizione, date le peculiarità della morfologia bergamasca (si pensi soltanto all’uso assai frequente del pronome personale secondario). Né si sono sempre condivisi i criteri adottati da quanti si sono precedentemente occupati dell’argomento; a tal proposito meritano di essere ricordati il curioso “Esperimento di una grammatica bergomense italiana” del somasco G. A. Mosconi (1854), gli agili cenni che Antonio Tiraboschi pose ad introduzione del suo “Vocabolario” (II ed., 1873), le puntuali “Note di grammatica del dialetto bergamasco” di Vittorio Mora (1966) e il diligente lavoro curato da Glauco Sanga su “Il dialetto di Bergamo” (1987).
La scelta di restringere l’indagine alla parlata della città di Bergamo, in assenza di una trattazione organica che comprenda tutta l’area bergamasca e le numerose varietà in essa presenti, dipende essenzialmente da tre fattori: a) si tratta di fenomeno linguistico territorialmente ben delimitato; b) ci si riferisce a parlata sostanzialmente omogenea, con non rilevanti diversificazioni per ceti sociali, per settori, per ambienti e per luoghi; c) la città è sempre stata il centro d’irradiazione della parlata e propone ancora il suo modello linguistico, per quanto declinante, sfibrato e contaminato, ai parlanti di tutto il territorio della provincia. Si deve tener conto ovviamente che dal dopoguerra ad oggi la capacità d’irradiazione si è notevolmente affievolita, a causa principalmente dei continui atteggiamenti d’intolleranza e delle pertinaci discriminazioni tuttora poste in essere allo scopo di limitare, di ridicolizzare e di estirpare l’idioma orobico, svalutando così e strangolando la cultura e l’identità della popolazione bergamasca. Simile è la situazione di quasi tutti gli altri centri municipali d’Italia; essa va addebitata al perdurante totalitarismo centralistico e consumistico, che teme il risveglio dello spirito di autonomia e che impone ad ogni essere umano un umiliante livellamento, sopraffacendo ogni diversità di pensiero, di lingua e di costume, svilendo le realtà locali e particolari, deboli per loro natura, perseguitandone accanitamente la libera e pertinente espressione e compromettendone l’esistenza. Da un lato l’allontanamento pressoché coatto, per mera legge di mercato, dei ceti popolari dai vecchi borghi e dalle contrade storiche della città, senza riguardo alcuno per i sacrosanti diritti delle famiglie ed in particolare delle persone anziane, custodi del tesoro del sapere dialettale e depositarie del legame atavico con il territorio, dall’altro l’immissione sempre più consistente, non programmata e non di rado disordinata e problematica, di gruppi provenienti da altri continenti e da altre culture stanno ormai fiaccando le ultime resistenze e compromettendo irremissibilmente la sopravvivenza del bergamasco come di gran parte degli altri idiomi popolari d’Italia.
È scontato che la descrizione che qui si dà degli aspetti morfosintattici del bergamasco sia di natura sincronica, il che non impedisce di avvertire per un verso il tramonto di molte forme tipiche, fantasiose e inimitabili, per un altro l’eccezionale fluidità di una situazione linguistica che appare in rapida trasformazione e che risulta contrassegnata da due fatti strettamente interdipendenti: il deplorevole immiserimento dell’italiano medio, quotidianamente involgarito e abbrutito dalle rozzezze, dalle banalità e dalle idiozie dell’invadente e supponente ”italianese” televisivo, e l’estenuazione dei dialetti, che nei secoli hanno costituito per la lingua italiana non solo un sicuro retroterra ma anche un solido antemurale, grazie al quale è stata salvaguardata, sia pure nelle evidenti differenziazioni regionali, la sostanziale unità spirituale, etica e culturale delle genti tutte d’Italia.
L’indicazione delle regole e degli aspetti morfosintattici di una lingua locale che pare ormai avviata all’estinzione ne deve implicare la buona conoscenza, maturata non solo sui testi letterari recenti ed antichi ma anche e soprattutto nella quotidiana frequentazione dei parlanti.
Qualcuno si domanderà con quali criteri si possano stabilire la “purezza” e la genuinità del bergamasco. A un buon conoscitore della lingua la domanda appare un po’ oziosa se non peregrina, poiché occorre fare precedere ad ogni pretesa norma selezionatrice i diritti e gli ammaestramenti del buon senso, dal quale si apprende che fa comunque testo soltanto l’eloquio vivo. Conta poco che esso fiorisca sulla labbra di una gentildonna d’antico lignaggio o di un docente universitario, di un negoziante o di un operaio, di un professionista o di un funzionario, di un pensionato o di una casalinga; conta invece che tutti costoro con padronanza e spontaneità si esprimano in un eloquio dai tratti fondamentalmente comuni, appreso dai genitori e dai nonni e usato con gli amici e i conoscenti, indipendentemente dall’appartenenza a ceti sociali diversi o dal possesso di gradi diversi d’istruzione, e che avvertano il piacere, a tempo e a luogo, di conversare in bergamasco per manifestare concetti e sentimenti che ricorrendo alla lingua nazionale non riuscirebbero ad evidenziare con la stessa proprietà, la stessa concisione e la stessa icasticità. La parlata popolare appartiene per definizione a tutto il popolo e i sottili e speciosi accademismi che vorrebbero introdurre tassative e discriminanti distinzioni fra dialetto basso o vernacolo, dialetto medio-basso, dialetto medio-alto, dialetto alto e lingua tradiscono intenti ben diversi da quelli dello studioso, intenti riconducibili purtroppo a schemi ideologici aberranti, che possono talora indurre perfino a posizioni politiche persecutorie e liberticide, a pratiche intolleranti e discriminatorie, a provvedimenti barbari e disumani. Historia docet.
Nel generale declino che sta travolgendo non solo i dialetti della Penisola ma anche la lingua nazionale, ridotta troppo spesso al triviale gergo plebeo e borgataro di tanti sfacciati ed incolti guitti televisivi, si ha il dovere di documentare la ricchezza lessicale e la complessità strutturale delle nostre antiche lingue “minori” perché nulla vada disperso. E mentre si rappresentano qui gli aspetti salienti della parlata bergamasca cittadina, si formula l’auspicio che ricercatori e studiosi locali in tempi brevi compiano analoghi lavori descrittivi per le varianti e le parlate delle singole comunità, sulla scia di quanto fatto per il trevigliese (si veda “Gente e parole” di Tullio Santagiuliana, 1975), per il gandinese (si vedano gli “appunti” di Vittorio Mora da pag. 49 a pag. 66 delle “Gandinade” di Giuseppe Servalli, 1976), per il valcavallino (si vedano il prezioso saggio di Primo Zambetti intitolato “Die Mundart von Valmaggiore in der Valle Cavallina” pubblicato a Berna nel 1952 e le pertinenti considerazioni di Mario Sigismondi inserite ne “La mia valle”, raccolta di versi di Anna Rudelli, 2003). La raccomandazione della brevità dei tempi di lavoro è in connessione con il rapido sfibramento della parlate locali e il loro prevedibile dissolvimento in una sorta di primitivistico slang che potrebbe scaturire dal cosmopolitico e caotico rimescolamento di idiomi, di culture e di etnie (il consumistico melting pot che sommerge le tradizioni annacquando le diversità e che travolge i princìpi etici dei popoli estirpandone le radici).
Altro auspicio si formula affinché le istituzioni deputate alla difesa e alla diffusione della cultura locale salvino quanto è possibile dell’antica diglossia degl’Italiani, cara all’Ascoli, il quale vi seppe scorgere i presupposti di una moderna propedeutica dell’apprendimento, un’elasticità mentale facilitata non solo dal costante rapporto fra due diversi registri linguistici ma anche dall’assiduo confronto fra la cultura dotta e la cultura popolare, fra il mondo dei concetti, della riflessione e della speculazione e quello insostituibile ed inevitabile della concretezza degli oggetti e degli atti della realtà quotidiana. Ciò favorirebbe il permanere di una coscienza critica individuale e comunitaria, antidoto alla demagogica “normalizzazione” del consumistico egualitarismo massivo che priva le persone delle loro “radici” e i popoli della loro anima.

BIOGRAFIA AUTORE
Umberto Zanetti, poeta, prosatore e saggista, ha pubblicato più di una quarantina di opere monografiche, fra le quali numerose raccolte di poesie in bergamasco, libri d’arte, saggi storici e studi sulla cultura popolare bergamasca.
Ha fatto parte per vent’anni del consiglio d’amministrazione dell’Accademia Carrara ed è stato per quattro anni commissario della Biblioteca Civica “Angelo Maj” di Bergamo. Presiede la giuria del Premio “Penna d’Oro” di Gromo. Fa parte del Cenacolo Orobico di Poesia e del Kiwanis Club Bergamo. Rappresenta la Lombardia in seno all’Associazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali e dirige la Classe di Lettere ed Arti dell’Ateneo di Bergamo.